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Carlo Scarpa: architetture del soffio

Pescando nel fondo dei crogioli
Marino Barovier
Fotografie di Elizabeth Lamark

PESCANDO NEL FONDO DEI CROGIOLI

Marino Barovier

C’era qualcosa di nuovo, di geometrico, di “audace” nella produzione Cappellin: ne era una dimostrazione il vaso sferico con base troncoconica esposto a Parigi, al Salon d’Automne del 1928. Ad accorgersene fu Gio Ponti – ma forse ignorava che quello spostamento d’accento, quel “soffio” diverso era dovuto a un ventenne, Carlo Scarpa, da poco entrato in vetreria. Da allora e sino a quando, quarantenne, decise di dedicarsi esclusivamente all’architettura, Scarpa creò, prima per Cappellin e poi per Venini, una serie strabiliante di capolavori trasparenti o opachi, brillanti o satinati, lisci o rugosi, lattiginosi o variopinti. Utilizzò tutte le tecniche, da quelle antiche della filigrana o del lattimo, ideate dalle maestranze di Murano nel XVI secolo, alle ultime, come i vetri con le puleghe o bollicine.