
Stavaganze veneziane
STRAVAGANZE VENEZIANE
Monica De Vincenti, Simone Guerriero
I visitatori della Scuola di San Rocco a Venezia, attirati, a ragione, dall’artista maggiore, il Tintoretto, di solito si dimenticano, nella sala superiore, di gettare una sia pur fuggevole occhiata alle cornici di quei grandi quadri. Ma chi si degni di fissar l’attenzione sulle sculture in legno di Francesco Pianta, non può non rimaner colpito dalla loro astrusa bizzarria, dalla tecnica violenta e mista di rozzezza e di raffinamento. Fiasche, cannoni, catene, sporte, libri, maschere, teste d’asino, mutili piedi umani, leggii, stacci, pennelli, corde e martelli, boccali, strumenti musicali, che vuol dire tutto questo bric-à-brac raccolto intorno a figure d’atleti e di dottori, di nudi e d’intabarrati, di monchi e di gagliardi, scolpiti in un legno caldo, patinato, e crivellato d’innumerevoli tarli? Che appartenga al Seicento, è evidente; in qualsiasi altra età del passato, questa sarebbe stata l’opera d’un pazzo. Ma nel Seicento, nel Seicento di Don Chisciotte e di Don Ferrante, c’è una razón de la sinrazón, un method in madness.
Mario Praz