Il grande freddo

Gustaf Fjæstad: romantico illusionista
Carl-Johan Olsson

GUSTAF FJÆSTAD: ROMANTICO ILLUSIONISTA

Carl-Johan Olsson

Quello del pittore svedese Gustaf Fjæstad è un Romanticismo ovattato, quasi pacato, privo di tempesta e d’impeto, libero dalla pulsione verso il terribile sublime che aveva agitato le generazioni precedenti. Romantico è il senso di comunione con l’immensa natura, la contemplazione dei silenzi in cui ci si sperde, l’indeterminatezza di un paesaggio costituito tutto di cose impermanenti: l’acqua che scorre lenta, i ramoscelli che cedono sotto la neve, la coltre gelida che si posa e si fonde ogni minuto. Spesso la luce piove da un punto che si trova al di fuori dell’immagine, celato da un boschetto o da un crinale innevato: è la siepe di Leopardi, la barriera naturale che ferma la corsa dell’occhio verso l’infinito e che crea l’infinito stesso perché desta l’immaginazione di ciò che non si vede. Carl-Johan Olsson ci guida in questo mondo silenzioso, appena scricchiolante e frusciante, arcano, tanto immenso e ripetitivo da costituire un mistero insondabile pur se in piena vista, lascito senza tempo e senza parola di un osservatore acuto e commosso della natura svedese.

Gustaf Fjæstad fu in un certo senso un illusionista. Giunse infatti a dominare una tecnica che abbagliò intere generazioni di osservatori, interdetti dinanzi a un simile realismo. D’altra parte, osservando i tratti nel dettaglio, ci si avvede che le singole pennellate non sono così magistrali: né particolarmente virtuosistiche né troppo elaborate, sono sempre al servizio dell’effetto d’insieme, della definizione di una realtà più abbacinante della realtà stessa. Nacque nel 1868, data che lo colloca in una generazione di passaggio per l’arte svedese. Era leggermente più giovane dei famosissimi Carl Larsson (nato nel 1853), Bruno Liljefors (1860) e Anders Zorn (1860). Allo stesso tempo, era nato un po' troppo presto per essere annoverato fra i modernisti che ruppero con loro. È facile pensare che questo gli abbia permesso di trovare una sorta di nicchia temporale in cui non era eccessivamente legato al passato e non ci si aspettava che aprisse strade completamente nuove. Al contrario, riuscì a creare in condizioni più libere, in una collocazione storico-artistica solo sua.

Per molti versi, Fjæstad è una figura solitaria. La sua pittura è indubbiamente legata a diversi movimenti europei, come il Sintetismo e il Puntinismo del Post-impressionismo francese, la Secessione viennese ed i Romanticismi nazionali nordici; per non parlare delle stampe giapponesi a matrici lignee. Si distingue per la prospettiva ravvicinata e il taglio compositivo molto netto. In un dipinto come Paesaggio Innevato, la scena è delimitata in modo tale da rendere lo spazio pittorico altamente concentrato; potrebbe essere percepito come claustrofobico, se non fosse per l’apertura che s’immagina in alto a sinistra da cui piove la luce riflessa dalla neve al centro. In questo caso, Fjæstad è più vicino ai romantici tedeschi d’inizio XIX secolo che ai suoi contemporanei del Romanticismo Nazionale nordico. Il soggetto può certamente esser considerato una sorta di archetipo nazionale scandinavo, ma l’effetto che vuol sortire nello spettatore è simile a quello delle opere di Caspar David Friedrich.

Il dipinto è diviso in primo piano (la strada coperta di neve e il terreno accanto ad essa), piano intermedio (la fitta foresta di abeti rossi), e l’indeterminata lontananza dalla quale la luce giunge come incontro allo spettatore. Come nel Monaco in riva al mare di Friedrich (Alte Nationalgalerie, Berlino), in Gustaf Fjæstad la scena è ridotta all’essenzialità della natura incontaminata. All’osservatore viene offerto un punto di vista in primo piano da cui contemplare le profondità della foresta e il fascino indefinito dell’orizzonte lontano. Come per Friedrich, e a differenza di molti romantici nazionali svedesi, la scena e il terreno sono riconoscibili, ma senza che l’opera raffiguri alcun luogo specifico e individualmente identificabile. Questo la rende universale, quasi un legame concettuale tra lo spettatore e lo spirito della natura. Le immagini vengono vissute intuitivamente piuttosto che razionalmente comprese.
Forse questo spiega perché si sia scritto così poco su Gustaf Fjæstad: certamente si è concentrato su una gamma limitata di temi, il che facilmente è stato percepito come una diminutio. Ciò è comprensibile, in un certo senso, ma ingiusto perché prende per monotonia quella che fu invece la devota coerenza dell’artista.

Fjæstad era un artista del suo tempo. Negli anni Novanta dell’Ottocento diversi artisti svedesi si trasferirono dalle città alla campagna. Carl Larsson si trasferì a Sundborn in Dalarna e Anders Zorn a Mora nella stessa Contea. Gustaf Fjæstad e sua moglie Maja, artista anch’ella, si trasferirono nel Värmland e sul lago Racken. Mentre Larsson e Zorn cercavano il nord per lo stile di vita e la cultura popolare, fu la natura incontaminata ad attrarre Fjæstad. Il Värmland era uno dei centri del Romanticismo Nazionale svedese. L’autrice Selma Lagerlöf era originaria di questa zona e qui lavorava, mentre il poeta Gustaf Fröding vi cercò rifugio. Le fitte foreste erano fonte d’ispirazione e d’immaginazione. Una parte significativa della vita di Fjæstad consisteva nel vagare per le foreste, dove si dedicava a lunghe osservazioni dettagliate che poi costituivano la base per la sua pittura. Durante le sue passeggiate, imparò a leggere la natura, a interpretarne i segni ciclici del tempo e dei cambiamenti stagionali. 

Molte delle opere di Fjæstad si basano su osservazioni così acute che sembra quasi di poter determinare la temperatura del luogo. Ciò è particolarmente vero per le sue immagini invernali, che spesso raffigurano scene in cui gli alberi e il terreno sono ricoperti da spessi strati di neve. La natura appare stilizzata, come nelle xilografie giapponesi che lui e i suoi contemporanei ammiravano, come La neve del 1920-1921. Appare così suggestiva come composizione che quasi non sembra essere, come invece è, una rappresentazione fedele della realtà, di quei giorni senza vento in cui la neve rimane intatta. Fjæstad e molti artisti con lui hanno capito che ciò che è raro ma autentico è il fondamento del rapporto dell’uomo con la natura, nella ricerca romantica di vivere nel semplice il sublime.

Così Novalis in un “frammento” del 1798: “Il mondo deve essere romanticizzato, così si ritrova il suo significato originario. […] Conferendo all’ordinario un significato elevato, a ciò che è semplice un aspetto misterioso, al noto la nobiltà dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, lo romanticizzo”.1
Fjæstad è probabilmente l’artista della sua generazione che più nettamente romanticizza la natura per mostrarla nella sua forma più fantastica e coinvolgente. Gli esempi più chiari sono quelli delle scene sottozero. La neve fredda e polverosa è qui pesante e bagnata, e si va sciogliendo in nuove forme morbide e organiche. 
Come in Da Dovrefjäll (Thielska galleriet, Stoccolma), dove la neve ha formato quelle che appaiono come figure misteriose che sembrano stringersi l’una all’altra come per scaldarsi a vicenda. Insieme, formano un collegamento immaginario e indefinito con tutto ciò che si trova oltre l’orizzonte della nostra conoscenza, come le foreste profonde. Dovrefjäll, l’ambientazione specifica dichiarata dal titolo del dipinto, si trova in Norvegia, ma la scena potrebbe altrettanto bene svolgersi nel Värmland.

Altri esempi di come il nostro artista conduca gli spettatori verso l’infinito attraverso prospettive limitate da primi piani sono i suoi numerosi specchi d’acqua. Anche in questo caso vi sono forti legami con il Romanticismo e con le teorie sulla vita spirituale degli esseri umani e sulla sua capacità di plasmare la nostra esperienza del mondo fisico. I dolori del giovane Werther, per esempio, descrivono come il protagonista si sieda in riva al fiume e osservi l’acqua che nel suo scorrere porta via con sé le sue idee di cose lontane. Come la neve, l’acqua di Fjæstad segue i cambiamenti del tempo e delle stagioni. Nelle opere, vediamo l’acqua congelata nel ghiaccio, l’acqua di disgelo delle piene primaverili e l’acqua limpida estiva dei laghi del Värmland. In uno dei suoi più bei dipinti dedicati all’acqua, la temperatura scende e colonne di vapore salgono dall’acqua verso il cielo, come se l’acqua trasudasse quel qualcosa che i romantici consideravano lo spirito della natura, effondendolo nell’aria che gli esseri umani respirano. Il dipinto, del 1895, s’intitola Il primo alito di freddo sull’acqua.

In conclusione, desidero citare un passaggio da L’eau et les rêves. Essai sur l’imagination de la matière di Gaston Bachelard, che rende perfettamente l’idea dell’effetto suscitato dalle scene di Gustaf Fjæstad, a loro modo anonime ma al contempo immensamente ricche, che si tratti di foreste o di acque: “Sono nato in una terra ricca di ruscelli e fiumi, in un angolo della Champagne collinare, nel Vallage, così chiamato per il gran numero di vallate che lo caratterizzano. La dimora più bella per me sarebbe nel cuore di una vallata, in riva a un corso d’acqua, all’ombra dei salici e dei canneti. […] Il mio piacere è ancora quello di seguire il ruscello, di camminare lungo le rive, nella giusta direzione, nella direzione dell’acqua che scorre, dell’acqua che porta la vita altrove, al villaggio vicino. […] Fantasticando presso il fiume, ho dedicato la mia immaginazione all’acqua, all’acqua limpida e verde, all’acqua che fa verdi i prati. Non posso sedermi presso un ruscello senza cadere in una profonda fantasticheria, senza riandare alla mia felicità. […] Non è necessario che sia il ruscello di casa nostra, l’acqua di casa nostra. L’acqua di cui non conosco il nome conosce tutti i miei segreti. Lo stesso ricordo zampilla da ogni sorgente”.2


Carl-Johan Olsson
Curatore della Pittura del XIX secolo al Nationalmuseum di Stoccolma
traduzione di Pietro Mercogliano
NOTE
  1. Novalis (Friedrich von Hardenberg), Fragmente und Studien, 1797-1798, 37: “Die Welt muss romantisiert werden, So findet man den urspünglichen Sinn wieder … Indem ich dem Gemeinen einen hohen Sinn, dem Gewöhnlichen ein geheimnisvolles Ansehen, dem Bekannten die Würde des Unbekannten, dem Endlichen einen unendlichen Schein gebe, so romantisiere ich es”.
  2. G. Bachelard, cit., 1942: “Je suis né dans un pays de ruisseaux et de rivières, dans un coin de la Champagne vallonnée, dans le Vallage, ainsi nommé à cause du grand nombre de ses vallons. La plus belle des demeures serait pour moi au creux d’un vallon, au bord d’une eau vive, dans l’ombre courte des saules et des osières … Mon plaisir est encore d’accompagner le ruisseau, de marchesr le long des berges, dans le bon sens, dans le sens de l’eau qui coule, de l’eau qui mène la vie ailleurs, au village voisin … En rêvant près de la rivière, j’ai voué mon imagination à l’eau, à l’eau verte et claire, à l’eau qui verdit les prés. Je ne puis m’asseoir près d’un ruisseau sans tomber dans une rêverie profonde, sans revoir mon bonheur … Il n’est pas nécessaire que ce soit le ruisseau de chez nous, l’eau de chez nous. L’eau anonyme sait tous mes secrets. Le même souvenir sort de toutes les fontaines”.
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